L’esperienza de La Marzocco che, con il supporto di Cisco, ha innovato la fabbrica mantenendo nel contempo il proprio DNA artigianale. L’analisi del CEO Guido Bernardinelli e di Michele Festuccia, Senior Systems Engineer Manager della società americana
“Il digitale? Ci ha consentito di innovare la fabbrica, pur rimanendo un’azienda artigianale”. Guido Bernardinelli, CEO di La Marzocco – società di punta nella produzione di macchine per il caffè espresso – inquadra bene quello che rischia di essere un paradosso: tenere ben saldo il DNA “da artigiano” che ha fatto la fortuna de La Marzocco, ma nel contempo cavalcare l’onda impetuosa del digitale. “Il rischio – ammette Bernardinelli – è rimanere travolti. Noi facciamo macchine per il caffè, abbiamo profonda cura dell’eccellenza qualitativa delle nostre macchine. Come tutto questo si coniuga con il digitale?”
Già, come portare il verbo dell’innovazione digitale in un’organizzazione con 800 persone, 11 filiali estere e con una profonda conoscenza “manuale” della macchina? Intanto, bisogna pensare che il digitale serve per risolvere un problema, per trovare una soluzione a una necessità (di processo, di prodotto, di organizzazione).
Il progetto Connected Factory
La Marzocco, con il supporto di Cisco, ha intrapreso nel 2019 un progetto di Connected Factory & Machine con l’obiettivo di sfruttare gli analytics per applicazioni di manutenzione preventiva e predittiva.
In sostanza, le macchine del caffè espresso sono connesse alla Rete il che consente di monitorarne i consumi, l’utilizzo e di risolvere eventuali problemi prima che sorgano, grazie appunto alla manutenzione predittiva. È una rivoluzione copernicana per il mondo del manufacturing perché sposta la garanzia dal tempo ai cicli di utilizzo.
La Connected Factory non ha solo riguardato la sensoristica e la connettività, ma il ciclo di produzione e la supply chain. “Abbiamo ora la capacità di stabilire esattamente le risorse e i componenti che servono, monitorare i tempi di attraversamento della filiera, dall’assemblaggio del prodotto da zero fino alla consegna finale” commenta Bernardinelli. “Questo ci consente una migliore pianificazione, ci permette di trovare eventuali inefficienze e soprattutto siamo in grado di monitorare bene la qualità del prodotto. Se non funziona qualcosa possiamo risalire fino al punto del processo dove il malfunzionamento è nato e andare a intervenire su quella linea o su quell’operatore”.
Efficienza produttiva e artigianalità
“Per noi è stato un cambio epocale” continua Bernardinelli. “Siamo riusciti a migliorare l’efficienza produttiva, partendo da artigiani manuali. Senza il digitale non sarebbe stato possibile aumentare la produzione in così poco tempo, mantenendo nel contempo la qualità del prodotto. Non si tratta infatti di automatizzare una linea di produzione”.
Si colgono adesso meglio le sfumature di quel paradosso accennato all’inizio. “Il consumo del caffè in un bar è quanto di più sociale e analogico che possa esistere. Il digitale sta dietro le quinte. Ti aiuta a fare in modo che quel caffè frutto del lavoro di tante persone sia il migliore possibile. Il digitale ci è servito e ci serve per migliorare quanto stiamo già facendo, mantenendo i nostri tratti artigianali distintivi”.
Un punto interessante, sottolineato dallo stesso Michele Festuccia, Senior Systems Engineer Manager di Cisco che ha seguito il progetto. “La grande forza di un prodotto artigianale sta nella conoscenza di come è fatto quel prodotto. Di quali sono i limiti e i valori intrinseci del prodotto stesso e del processo che porta alla costruzione di quel prodotto. Il digitale è uno strumento che aiuta in questo processo, ma come ogni strumento bisogna leggerne le istruzioni e non è la soluzione a tutti problemi. Non bisogna pensare che basta mettere un ‘po’ di digitale’ in azienda per raggiungere risultati di rilievo. Ci vuole metodo e costanza”.
L’introduzione del digitale in azienda
Va da sé che l’introduzione del digitale vada gestita con attenzione. “Non può essere una decisione calata dall’alto, non avrebbe mai funzionato” commenta Bernardinelli. “Servono dei ‘caronti’, dei leader interni che abbracciano il paradigma, conoscono i processi, partono da uno use case specifico e fanno accadere le cose. Bisogna sempre partire dal caso specifico: spesso si prendono delle decisioni impulsive perché ‘bisogna introdurre il digitale in azienda’. Manca però una riflessione su cosa vuole dire introdurre il digitale nell’organizzazione, su come debba essere applicato, su come possiamo coinvolgere le persone in modo virtuoso”.
“Attenzione alle fughe in avanti che possono poi produrre clamorose retromarce” prosegue Festuccia. “L’esigenza delle aziende non è implementare il digitale in sé. C’è chi pensa che con un po’ di digitale si introduce l’innovazione in azienda. Non è così: l’innovazione non nasce perché c’è una potenza inespressa che è quella della tecnologia. L’innovazione nasce perché c’è un’esigenza molto forte che ha bisogno di una risposta di cambiamento. E la risposta molto spesso è data dall’utilizzo di tecnologie digitali. In questo senso il partner tecnologico è importantissimo per supportare il cliente in questo percorso”.
“Di fondo, aggiunge Bernardinelli – gli esseri umani si spaventano di fronte al cambiamento. Per questo è importante il ruolo dei leader interni. Oggi dentro la Marzocco si sa che cos’è il digitale, cosa stiamo facendo col digitale. E ci sono persone nei reparti più impensabili, che hanno a che fare col digitale. Abbiamo cercato di rendere concreti questi concetti un po’ astratti creando proprio un Team Leader Group che poi è stato coinvolto per tanti altri progetti. L’esperienza è stata propizia anche per cambiare la struttura e renderla più orizzontale. Queste persone avevano e hanno il compito di studiare il digitale, di comprenderne l’impatto, di capire dove potevamo applicarlo e di insegnarci, secondo la loro visione, come farlo. È stata una cosa molto bella perché è stato un progetto che ha coinvolto tutti”.
L’aspetto interessante è che una, volta introdotto, il digitale pervade i gangli vitali dell’azienda. “Io mi sono letteralmente appassionato al digitale perché può cambiare le regole del gioco – spiega Bernardinelli – Si pensi alla servitizzazione e agli sviluppi che può avere sull’intera filiera produttiva, non solo sulla singola azienda. Sarà un processo graduale, che richiederà tempo ma siamo sulla strada giusta”.
Il progetto ConSenso
Basti pensare al recente progetto ConSenso promosso dall’Accademia del caffè espresso, fondata per l’appunto da La Marzocco, insieme a Cisco e Pnat (società spin-off dell’Università di Firenze). Si tratta di una sperimentazione scientifica che vuole esaminare gli effetti del cambiamento climatico sulle coltivazioni di caffè Arabica in Tanzania (nella zona di Mbeya).
Grazie all’utilizzo di sensori IoT specifici vengono controllate in tempo reale le condizioni climatiche e ambientali e le necessità reali delle piante, con la possibilità di attivare interventi di adattamento climatico come, per esempio, l’ottimizzazione dell’utilizzo di acqua per l’irrigazione.
Lo scopo è duplice: da un lato, raccogliere dati preziosi per sviluppare strategie di adattamento al cambiamento climatico in campo; dall’altro, creare un modello replicabile che possa essere applicato ad altre coltivazioni e contesti, contribuendo così alla sostenibilità dell’intera filiera del caffè.
“È un altro esempio dell’uso del digitale messo a disposizione del miglioramento – conclude Bernardinelli – per poter restituire un po’ di valore al settore agricolo da cui attingiamo”.