Per attirare l’attenzione, la ha attirata.
Il risultato, almeno dal punto di vista visual, è stato raggiunto.
L’attenzione si è poi trasformata in curiosità, perché in quel container enorme, tutto rosso e con la scritta 42 che campeggia su tutti i lati, in realtà è racchiuso uno dei progetti di digital transformation più imponenti degli ultimi anni: quello del porto di Rotterdam.
Protagonista di questa case history è – visto che è un tema ricorrente di questi tempi – un ecosistema, composto dal Porto di Amsterdam stesso, da Cisco, IBM e Esri.
E il container davvero è solo una minima parte della storia, che inizia qualche mese fa, per la precisione alla fine del mese di gennaio, quando l’Autorità del Porto di Rotterdam annunciò di aver raggiunto un accordo di collaborazione pluriennale per la completa trasformazione digitale del porto, con l’aiuto di IoT, Big Data, Predictive Analytics, con l’obiettivo non solo di migliorare l’efficienza operativa dell’intera struttura e infrastruttura, ma traghettare il Porto già verso un domani fatto (anche) di imbarcazioni a navigazione autonoma.
42, la risposta alla domanda fondamentale
42, questo il nome del progetto e in fondo anche del container, è l’esemplificazione concreta di qualcosa che si sta preparando.
Un nome non scelto a caso, come la risposta alla domanda fondamentale (sulla vita, l’universo e tutto quanto, dalla celebre Guida Galattica per Autostoppisti di Doug Adams), perché questo progetto, come spiega Erwin Rademaker, Programme Manager dell’Autorità del Porto di Rotterdam, “punta a dare risposte anche a domande che ancora non sappiamo. C’è un po’ di serendipity in fondo”.
Per Rademaker, due sono le sfide che una realtà come quella di Rotterdam deve affrontare.
“In primo luogo c’è un modello di business che sta cambiando. Tanto più crescerà la transizione verso le energie rinnovabili, anche le economie delle merci che gravitano sul porto tenderanno a cambiare. E noi dobbiamo prepararci a questo cambiamento. La seconda sfida è quella della digital transformation. Dobbiamo diventare sempre più smart”.
Un porto come una smart city
Tutto sommato, per Rademaker ci sono molte similitudini tra i progetti smart city e quello avviato a Rotterdam: “Parliamo di grandezze, il porto è lungo 42 chilometri, abbiamo infrastrutture da manutenere e moltissime persone che gravitano sull’area. Dobbiamo pensare a rendere più sicuro e sostenibile l’oggi e nel contempo essere pronti al domani”.
Questo significa, aumentare il livello di automazione, questo significa raccogliere, grazie a una rete di sensori distribuiti su tutta l’area, dati e informazioni di tipo ambientale, meteorologico, di traffico, per gestire al meglio tutte le operations.
“E significa farlo in modo sicuro, perché non possiamo permetterci di ricevere o trasmettere informazioni sbagliate sulle navi e sui carichi in arrivo o in partenza”.
Il ruolo di Cisco e IBM in questo progetto
La scelta dei partner è stata consequenziale alle definizioni delle esigenze.
Esri si occupa di tutta la parte di mappatura e di geolocalizzazione, Cisco ha in carico tutta la parte IoT, cui si affianca anche la collaboration con Webex Teams, mentre IBM, con Watson, segue tutte la parte delle predictive analytics.
“Cisco e IBM per noi sono state due scelte naturali: avevamo bisogno di soluzioni robuste e soprattutto sicure. Non abbiamo avuto dubbi”.
E il container?
Il container, come detto all’inizio, serviva per attirare l’attenzione.
È un teaser, l’esemplificazione di tutte le tecnologie che si possono integrare a bordo di un container, dai sensori agli strumenti di collaboration, fino ai pannelli solari per accumulare energia durante il viaggio e scaricarla una volta in porto.
In questo video, girato in occasione Cisco Live, Vincent Campfens, Business Consultant del Porto di Rotterdam, e Shaun Cooley, VP/CTO IoT & Industries di Cisco, ci raccontano il progetto.
Il video è in inglese e l’audio un po’ disturbato dalle condizioni ambientali. Ma rendere l’idea del progetto in corso.